Libero di vivere nella strada.[Fabrizio De Andrè]

In ricordo di Fabrizio De Andrè.


Libero di vivere nella strada


Sono nato il 18 febbraio del 1940 a Genova Pegli, quindi Genova occidentale. Fu una colonia di peglini (o pegliesi) ad aver colonizzato Tabarca, in Tunisia. Intormo al 1700, mi pare che gli Arabi li avessero respinti coi forconi nel culo e quelli lì, prendendo il mare, la prima isola in cui si fermarono fu Carloforte. Allora si chiamava San Pietro eppoi è diventata Carloforte dove si parla infatti ancora il pegliese di quell’epoca [...]

Dell’infanzia ricordo soprattutto la casa di campagna di mia nonna, una cascina: allora le vacanze estive duravano quattro mesi e, a parte quindici giorni di mare, che avevamo sotto, le passavamo tutte in campagna, con mio grande piacere. Lì ho assorbito tutto l’amore, che poi mi è rimasto, per la campagna, la natura, gli animali e la cultura contadina.


Mio padre, contrariamente a quanto per anni è stato scritto, era di origini modeste: il benessere cominciò ad aggirarsi in casa nostra dopo che lui aveva superato i quarant’anni. Forse da queste radici la sua mai abbastanza ringraziata accondiscendenza a lasciarmi libero di vivere nella strada: e nella strada ho imparato a vivere come probabilmente prima di me aveva imparato lui.


Ho fatto il classico al liceo comunale “Cristoforo Colombo”. A Genova ce n’erano tre di comunali: l’”Andrea Doria”, il “Cristoforo Colombo” e il “Mazzini”. Quest’ultimo era molto fuori zona, in periferia; per l’”Andrea Doria” c’era il problema di mio fratello che prendeva 10 anche in educazione fisica oltre che in filosofia e in italiano. Perciò non volendo rischiare confronti sono rotolato al liceo “Colombo” ch’era un po’ distante da casa però ero tranquillo che non mi si metteva in concorrenza con lui.


Al liceo studiavo il meno possibile. Riuscivo a racimolare la sufficienza perché ai professori ero simpatico. E, d’altronde, andare a scuola mi serviva quando, d’estate, cercavo di rimorchiare le ragazze alla Lucciola, una balera alla periferia di Asti. Mi presentavo come uno studente di Genova, il che fa sempre effetto, da quelle parti […]


Ho fatto un po’ di tutto: ho frequentato un po’ di medicina, un po’ di lettere e poi mi sono iscritto seriamente a legge dando, se non mi sbaglio, 18 esami. Quasi laureato dunque […] poi ho scritto Marinella, mi sono arrivati un sacco di quattrini e ho cambiato idea […] dopo che Marinella l’aveva cantata Mina, eravamo nel ’65, io ero sposato da tre anni e lavoravo negli istituti privati di mio padre […]. Lavoravo lì non sapendo cos’altro fare, visto che di laurea non se ne parlava perché stentavo molto a studiare, insomma questa Canzone di Marinella, me la canta Mina, mi arrivano 600 mila lire in un semestre (somma davvero considerevole per quegli anni). Allora mi sono licenziato, ho preso armi e bagagli, moglie, figlio e suocero e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di Genova […]. Da quel momento ho cominciato a pensare che forse le canzoni m’avrebbero reso di più e soprattutto divertito di più.
 

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